Il mondo sottomarino

•Maggio 16, 2008 • 2 commenti

Il mondo sottomarino,
Foreste al fondo del mare, i rami, le foglie,
Ulve, ampi licheni, strani fiori e sementi,
folte macchie, radure, prati rosa,
Variegati colori, pallido grigio verde,
porpora, bianco e oro, la luce vi scherza
fendendo le acque
Esseri muti nuotan laggiù tra le rocce, il
corallo, il glutine, l’erba, i giunchi, e
l’alimento dei nuotatori
Esseri torpidi brucan fluttuando laggiù, o
arrancano lenti sul fondo,
Il capodoglio affiora a emetter lo sbuffo
d’aria e vapore, o scherza con la
sua coda,
Lo squalo dall’occhio di piombo,
il tricheco, la testuggine, il peloso
leopardo marino, la razza,
E passioni, guerre, inseguimenti, tribù,
affondare lo sguardo in quei fondi
marini, respirando quell’aria così
densa che tanti respirano,
Il cambiamento, volgendo lo sguardo qui
o all’aria sottile respirata da esseri che
al pari di noi su questa sfera
camminano,
Il cambiamento più oltre, dal nostro
mondo passando a quello di esseri
che in altre sfere camminano.

Walt Whitman

Foto © M.G.

Delfini, che animali romantici, all’amata danno mazzi di alghe

•Maggio 16, 2008 • 3 commenti

LONDRA – Se un uomo, in fase di corteggiamento, decidesse di regalare all’oggetto delle sue attenzioni un bel ciuffo di alghe, probabilmente non farebbe una gran bella figura. Per i delfini non è la stessa cosa. Anzi, se si presentassero al primo appuntamento con delle rose rosse, queste sicuramente passerebbero del tutto inosservate. Che i delfini fossero animali dotati di intelligenza già si sapeva, ma adesso si scopre che sono anche romantici. E secondo una ricerca britannica, corteggiano l’amata regalandole un mazzo di alghe.
Per capire come funzionano i “flirt” fra delfini, due studiosi, Tony Martin del British Anctartic Survey di Cambridge e Vera da Silva, del National Institute of Amazonian Research del Brasile hanno dedicato tre anni allo studio di più di seimila gruppi di animali che, fra il 2003 e il 2006, hanno attraversato la foresta pluviale di Mamiraua. La riserva comprende un lungo tratto del Rio Solimoes e una grande porzione di foresta e il suo habitat preserva alcune delle specie più minacciate dell’intero bacino amazzonico, come il “boto vermelho”, il delfino rosa d’acqua dolce, e il “tucuxi”, il delfino grigio del Rio.
Dei gruppi presi in esame, 221 includevano almeno un maschio che trasportava in bocca alghe, ramoscelli o grumi di argilla per far colpo sulla femmina e persuaderla all’accoppiamento. Delfini, per così dire, “romantici”, che però hanno rivelato un’indole più aggressiva rispetto agli altri. Un atteggiamento, questo, che che gli studiosi riconducono alla competizione che si scatena per conquistare le femmine.
“I miei colleghi erano scettici quando ho sollevato l’ipotesi – ha detto alla rivista britannica New Scientist Tony Martin – ma ora penso che le prove siano schiaccianti”. Questo comportamento, secondo lo studioso, è un segno culturale che non si tramanda geneticamente ma viene appreso dalla generazione precedente. I test del Dna hanno anche dimostrato, infine, che quanti più doni portano, tanto migliori saranno come padri.

Fonte: Repubblica

Effetti della pressione sugli spazi d’aria del corpo umano

•Maggio 16, 2008 • 4 commenti

Gli spazi d’aria del corpo umano che subiscono gli effetti della pressione, durante un’immersione con l’autorespiratore, sono orecchie e seni paranasali.
L’apparato uditivo si suddivide in tre zone: orecchio esterno, interno e medio.

Il primo, costituito dal padiglione auricolare e condotto uditivo, è costantemente in contatto con l’ambiente esterno, per cui, si troverà sempre in equilibrio con lo stesso.
Nell’orecchio interno si trovano la chiocciola, o coclea, e i canali vestibolari. Questi, sono immersi nella perilinfa, un liquido che rende la zona incomprimibile. Per cui non influenzabile dalla pressione esterna.
Quello che causa fastidio e dolore, è la compressione dell’aria contenuta nell’orecchio medio, o cassa timpanica. Questa variazione di volume è dovuta all’introflessione della membrana timpanica.
All’interno dell’orecchio medio si trova la catena di ossicini: martello incudine e staffa. Il primo è connesso al timpano, che separa la cassa timpanica dall’esterno. L’ultimo, la staffa, è unito alla finestra ovale, sulla parete labirintica. Quest’ultima separa l’orecchio medio da quello interno.
L’orecchio medio è in comunicazione col rinofaringe tramite la tuba di eustachio. Che, in condizioni di riposo, è un canale virtuale. Le sue pareti, infatti, sono collassate e si aprono o con meccanismi fisiologici: deglutizione, masticazione o sbadiglio. O con meccanismi indotti, come variazioni pressorie o insufflazioni. Questi ultimi prendono il nome di manovre di compensazione.
La più diffusa di queste manovre è quella ideata dal celebre anatomista Antonio Valsalva:
chiudendo narici e bocca, ed eseguendo uno sforzo espiratorio, si crea un aumento della pressione dell’aria intratoracica, che non avendo altre vie di fuga, risale verso il timpano attraverso le tube di eustachio.
La seconda tecnica è quella messa a punto da uno dei fondatori della subacquea italiana, Duilio Marcante, ed il pioniere della medicina iperbarica, il professor Giorgio Odaglia.
La manovra di Marcante-Odaglia, conosciuta nel mondo come manovra di Frenzel, non è di semplice esecuzione. Si pratica, sempre con narici chiuse, isolando completamente la regione del rinofaringe dalle restanti cavità aeree: spingendo verso l’alto il palato molle, si provoca una riduzione del suo spazio, facendo aumentare la pressione dell’aria contenutavi. Il movimento della lingua, azionata come un pistone verso l’alto, fa contrarre i muscoli faringei che, prossimi agli orifizi delle tube di eustachio, ne favoriscono l’apertura e quindi il passaggio dell’aria a pressione verso l’orecchio.
Nonostante la difficoltà di esecuzione, questa risulta meno traumatica per il timpano e non richiede l’intervento di sovrapressione polmonare, dando una pressione anche superiore a quella che si ottiene con la pratica della Valsalva.
Esistono anche altre tecniche di compensazione, che, tuttavia, dipendono da predisposizioni personali. In alcuni soggetti, ad esempio, il semplice movimento mandibolare o di deglutizione, stimola l’apertura degli orifizi delle tube, mettendo l’orecchio in collegamento con l’aria contenuta negli altri spazi aerei, già a pressione ambiente, ristabilendone l’equilibrio pressorio.
La mancata compensazione dell’orecchio medio può portare ad un barotrauma, come la rottura della membrana timpanica.
Bisogna cominciare a compensare già dai primi metri di discesa, anticipando il fastidio.
Un ritardo di esecuzione, o la presenza di muco nelle vie respiratorie che ostruisce gli orifizi delle tube di eustachio, comprometterebbero la corretta esecuzione di una delle manovre sopradescritte.
Ad esempio, quella di Valsalva, se fatta in modo forzato, potrebbe causare la rottura della finestra rotonda: il timpano, introflesso dalla pressione esterna, spingendo sulla catena degli ossicini, fa introflettere la finestra ovale, che causerà un aumento della pressione della perilinfa. Queste variazioni di pressione vengono equilibrate dall’estroflessione della finestra rotonda, situata anch’essa sulla parete labirintica.
Bisogna precisare che il modo forzato dell’esecuzione, causa anche un ritorno di sangue ai polmoni, inibendo il flusso nelle vene principali che tornano al cuore, che, cominciando a gonfiarsi, causano un aumento della pressione venosa. Di conseguenza si avrà un ulteriore aumento della pressione dei liquidi cerebrali, tra cui, la già citata perilinfa. Che, esercitando un’eccessiva pressione, potrebbe causare la rottura della finestra rotonda, fuoriuscendo dall’orecchio interno.
Le conseguenze sono perdita temporanea dell’udito e vertigini.
Non bisogna mai trovarsi nelle condizioni di dover forzare la manovra di compensazione.
In presenza di muco, è sconsigliato l’utilizzo di decongestionanti: solitamente, nella composizione del farmaco vi è l’efedrina, una sostanza termolabile. La bassa temperatura dell’acqua potrebbe ridurne l’effetto in termini di tempo. Quindi, durante l’immersione, si dovrebbe fronteggiare una nuova formazione di muco, che in risalita, tornerebbe ad ostruire le vie di fuga dell’aria in sovrapressione nell’orecchio medio, rendendone difficile la fuoriuscita, che in situazioni normali, fuoriesce automaticamente.
Il tali casi, si verrebbe a manifestare il fenomeno del blocco inverso, che, solitamente, causa vertigini. Spesso di notevole intensità.
Come scritto all’inizio, anche i seni paranasali subiscono gli effetti della pressione.
Sono delle piccole cavità piene d’aria, posizionate dietro e sotto gli occhi e il naso. Hanno funzione di alleggerimento del cranio, cassa di risonanza per i suoni, ed isolamento e protezione dalle basse temperature. Si dividono in sfenoidali, frontali, etmoidi e mascellari.
Si trovano a diretto contatto con le altre vie respiratorie e, normalmente, la pressione dell’aria al loro interno si compensa automaticamente. Invece, in caso di raffreddore, le vie d’ingresso di queste cavità sono ostruite, rendendone impossibile la compensazione.
Infine, fattore non trascurabile e poco menzionato, le variazioni di pressione possono influire anche su piccole sacche d’aria create da otturazioni odontostomatologiche mal eseguite. Causando dolore.

© M.G.

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La pressione sott’acqua

Effetti della pressione sugli spazi d’aria di un sub in immersione

Ricordi narcotici

•Maggio 15, 2008 • 15 commenti

L’aria, linfa vitale d’ogni essere vivente, per la sua composizione è sempre stato il cruccio degli amanti del profondismo subacqueo.
Ambedue i componenti primari, ossigeno 21% e azoto 79%, possono rappresentare due seri problemi ad elevate profondità.
L’azoto, gas inerte, termine scientifico che sostituisce “inutile” in quanto non prende parte a nessun processo metabolico, è causa di quella che viene chiamata “ebbrezza di profondità”. Più tecnicamente “narcosi d’azoto”.
In poche parole: sott’acqua la pressione varia molto più rapidamente che non nell’atmosfera; poiché un sub respira aria alla stessa pressione dell’ambiente in cui si trova, a 50 mt, per esempio, respirerà una quantità d’aria sei volte superiore di quella che normalmente si utilizza.
L’azoto, assunto in quantità elevate, causa alterazioni delle trasmissioni del sistema nervoso.
Insomma, come fuori dall’acqua “in vino veritas”, sott’acqua “in azoto veritas”!
Non a caso questo fenomeno fisiologico è chiamato dagli americani “effetto martini”.
La cosa più simpatica di una bella sbornia d’azoto sta nei postumi: una volta usciti dall’acqua dopo un’immersione sono totalmente inesistenti, a differenza di quelli di una “sana” ubriacatura da alcol!
Scherzi a parte,se non si è ben preparati ad affrontarla, questa, potrebbe causare seri problemi.
Si manifesta in modo sensibile intorno ai 40 mt e può essere amplificata dallo stress della tipologia dell’immersione o da eventuali situazioni negative che possono presentarsi durante la stessa.
Le sintomatologie sono varie e spesso contrastanti: dall’euforia e troppa sicurezza di se a senso d’oppressione e annebbiamento dei riflessi.
Un sub profondista acquisisce col tempo una sorta d’assuefazione alla narcosi e un’esperienza che fa sviluppare delle tecniche per riuscire a contrastarla.Un’immersione molto ambita dai sub locali è quella sul relitto dell’aereo vicino Sferracavallo.
Uno Junker B52 tedesco della seconda guerra mondiale, abbattuto vicino la costa e inabissatosi in un fondale pianeggiante e sabbioso a circa 47 mt.
Ricordo ancora, anche se la cruda realtà mi dice che sono passati poco più di vent’anni, la mia prima sbornia sullo “Junker”…
Durante un’immersione, così come nella vita, la mancanza di punti di riferimento crea una situazione di stress molto elevata: sei disorientato.
La stessa cima utilizzata per la discesa è troppo esigua perché dia sicurezza. Anche se rappresenta la via del ritorno,visivamente, è una linea sottile che si perde nel blu.
L’immersione sull’aereo è destinata a sub esperti dotati di ridondanti sistemi di sicurezza.
Oggi, solo dopo averne verificato l’esperienza e la preparazione, porto piccoli gruppi a visitare l’aereo.
Di recente, un mio amico sub, diventato poi mio allievo in corsi di subacquea tecnica, è riuscito ad estorcermi l’immersione tanto ambita.
Non aveva esperienza in immersioni di questo tipo. Per fortuna decisi di scendere solo con lui.
Solito appuntamento al diving ore 9,00.
Una buona guida sub intuisce cosa l’aspetta durante l’immersione dal comportamento della persona già fuori dall’acqua, durante il montaggio dell’attrezzatura.
G. quel giorno era più frenetico del solito. E’ sempre stato un sub molto attento, ma quel giorno era snervante. Guardava e ricontrollava l’attrezzatura come non aveva mai fatto.
Mi chiese una quantità di volte inaudita come si sarebbe svolta l’immersione.
Pochi minuti di navigazione e l’ancora della cima di discesa sprofonda velocemente verso i 47 mt, sul punto indicato dal GPS.
Siamo molto fortunati: il mare è splendido e la cima perfettamente verticale indica la totale assenza di corrente.
Indossate le bombole e agganciati i bombolini d’emergenza ai fianchi, siamo pronti per andare a fare visita ad un pezzettino di storia.
Dopo il classico controllo a pelo d’acqua, un ok e cominciamo a scendere.
Durante la discesa cerco il più possibile di guardare G. in viso. Devo cercare di prevenire ogni possibile problema.
La cima scorre veloce davanti ai nostri occhi. Tutto sembra andare per il meglio.
Guardo il computer, segna 32 mt, continuiamo a scendere.
36 mt…L’espressione di G. comincia a cambiare: qualcosa non va…
38 mt… G. si blocca e comincia a farmi dei gesti esagitati: fa un segnale che indica vertigini.
In un attimo lo vedo schizzare pinneggiando e tirandosi alla cima verso la superficie.
Devo riuscire a rallentare la sua risalita cercando di fargli riprendere il controllo della situazione.
Gli sto davanti alla stessa velocità. Stiamo andando troppo veloci. Sento i bip dei computer che segnalano il superamento della corretta velocità di risalita.
La situazione sta diventando pericolosa.
Cerco in tutti i modi di segnalargli di rallentare e di calmarsi.
Siamo già risaliti ai 20 mt.
In modo brusco lo afferro per il giubbotto equilibratore e lo blocco in maniera un po’ violenta.
Lo scossone lo fa ritornare in se. Mi fa cenno che tutto è ok.
Dopo qualche istante mi segnala che vuole riprovare a scendere.
Ricominciamo a scendere molto più lentamente guardandoci negli occhi.
Stavolta và molto meglio: ai 40 mt mi segnala che tutto è ok. Lo vedo molto più sereno…forse troppo. Devo tenerlo ancora di più sotto controllo.
Vediamo la sagoma dell’aereo.
Adagiato pancia all’aria su un pianoro sabbioso fa una strana impressione.
Anche dopo tante immersioni è sempre emozionante vederlo dall’alto.
Ci avviciniamo sempre più.
La cima arriva proprio accanto ad una delle ali.
Come una piccola oasi nel deserto è molto popolato.
Vedo le due grosse cernie che hanno fatto dei fori dei carrelli la loro tana. A volte le becco anche sotto le ali.
Però oggi la mia attenzione è tutta su G. E’ troppo euforico… Anziché dirigersi verso l’aereo và verso la sabbia. Lo seguo senza fargli capire che lo tengo sotto stretto controllo.
Arrivato sul fondo comincia ad infilare le dita nella sabbia come un bimbo che la tocca per la prima volta!
Mi guarda: dietro l’erogatore sorride.
Con molta cautela cerco di dirigerlo verso il relitto.
Devo riuscire a riportare la sua attenzione sull’immersione. E’ l’unico sistema per distoglierlo da questo stato euforico.
Vicino al relitto con la punta dell’indice sfiora la punta dell’elica…
Lo chiamo. Col faro acceso gli segnalo un grosso gronco che fa capolino tra i rottami di uno dei motori. Accanto c’è una grossa murena e sotto il motore due lunghe antenne segnalano la presenza di un’aragosta.
G. adesso sembra molto più presente. Ha ripreso il controllo dell’immersione.
Gli segnalo di tornare verso la cima per cominciare la lenta risalita.
Ai 28 mt ci fermiamo un minuto per fare una sosta di sicurezza. I computer ci segnalano undici minuti di decompressione.
Comincio a respirare dal bombolino che ho sul fianco. Contiene una miscela iperossigenata che favorisce lo smaltimento dell’azoto.
Cambio miscela respiratoria sul computer e il tempo di decompressione diminuisce a 6 minuti.
G. continua a respirare aria. Non ha i brevetti che gli consentono l’uso di miscele respiratorie diverse. Il suo tempo deco resta invariato. In ogni modo seguirò il suo profilo d’immersione.
Riprendiamo la risalita verso le tappe deco.
Giunti a 5 mt i minuti di sosta segnalati dal computer cominciano a diminuire. Sono i classici minuti della visualizzazione a posteriori: quelli in cui comici a rivedere i momenti salienti dell’immersione.
Oggi G. ha conosciuto le due facce della “narcosi d’azoto”. E’ passato dal quasi panico all’euforia. Penso che ricorderà molto bene l’esperienza di oggi.
Una frase che ripeto sempre ai miei allievi è: “Non importa il livello del tuo brevetto, ma l’esperienza che hai in acqua”
G. mi segnala di avere finita la deco. Io ho già finito da diversi minuti.
Usciamo dall’acqua. Il barcaiolo ci chiede come sia andata l’immersione. Guardo G. con un sorriso ironico e rispondo: ”Caro R. ho deciso che per le prossime immersioni mi fornirò di nuove attrezzature… Secchiello, palette e formine per giocare con la sabbia!!!”.

Testo © M.G.
Quello nella foto sono io … ma non ricordo chi l’ha scattata 🙂

Polyprion Americanum

•Maggio 14, 2008 • 2 commenti

Il Polyprion Americanum o “cernia di fondale” appartiene alla famiglia dei serranidi. Vive in fondali rocciosi o sabbio-fangosi che vanno dai 40 ad oltre 400 mt di profondità.
Devo dire che, pur avendo effettuato immersioni molto profonde, non sono mai riuscito a fotografarla vicino al fondo o in parete.
Le dimensioni variano da un ottantina di centimetri fino ai due metri di lunghezza.Solitamente vivono in modo solitario ad elevate profondità, cibandosi di crostacei, molluschi e pesci.
E’ grazie alle sue abitudini giovanili che sono riuscito a fotografarla…
Durante una traversata, rientrando dalle Eolie, incontrai un tavolone galleggiante attorno al quale si notava un movimento che indicava la presenza di pesci.
Arrestata la marcia dell’imbarcazione, indossate maschera e pinne, ci tuffiamo e ci avviciniamo all’oggetto galleggiante. Banchi di pesci di specie diverse gli danzavano attorno.
Guardando meglio sotto la tavola…la sorpresa! I giovani della specie amano risalire in superficie e restare riuniti all’ombra di oggetti galleggianti.
Siamo riusciti a fare solo qualche scatto prima che il pesce si inabissasse nel blu profondo.

testo e foto © M.G.

Come fanno i mammiferi marini a bere ?

•Maggio 14, 2008 • 1 commento

Fonte: Focus

The abyss

•Maggio 13, 2008 • 8 commenti

Una squadra di sommozzatori di una base sottomarina, il “Deepcore”, per ricerche petrolifere, viene incaricata di recuperare un sottomarino nucleare americano, finito in avaria ad una profondità di 600 mt nel mar dei Caraibi.
Bud (Ed Harris) il caposquadra, Lindsey (Mary Elisabeth Mastrantonio) progettista della base ed ex moglie di Bud, e Coffey, luogotenente fanatico della marina militare, si trovano a fronteggiare una serie di circostanze avverse: il crollo di un’enorme gru, che dal pontone appoggio precipita sul Deepcore, causa una serie di malfunzionamenti che compromettono la vita dei presenti a bordo.
Non riuscendo a comunicare col comando, Coffey decide di far esplodere le testate del sottomarino per evitare che possa cadere in mano ai russi. Bud non approva la soluzione drastica e scende da solo negli abissi per disattivare le testate nucleari al fine di scongiurare una catastrofe.
Riesce nel suo intento grazie all’aiuto di misteriose e pacifiche creature luminescenti che riescono a materializzare forme fatte di acqua.
Saranno loro a riportare in superficie i superstiti.
Le dure prove fanno rinascere l’amore tra Bud e Lindsey. Alla sua uscita, nel 1989, non ebbe un grande successo. Forse ci si aspettava un film carico di suspense o scene d’azione in pieno stile Cameron. C’è chi lo considera il suo capolavoro. Meritatamente vinse l’oscar per migliori effetti speciali visivi.
Il film è stato girato, tra parecchie difficoltà, in un’enorme vasca in disuso, a Gafney (South Caroline), costruita per contenere reattori nucleari.
Attori e troupe hanno dovuto sostenere corsi sub. Tra l’altro, per le prolungate permanenze sott’acqua, furono costretti a lunghe decompressioni prima di potere tornare in superficie.
Ho visto il film senza aspettarmi ciò che altri avrebbero voluto vedere. Proprio per questo, anch’ io lo reputo un capolavoro.
Particolarmente spettacolari sono le scene degli incontri con gli alieni: la musica e un uso accurato e sapiente della fotografia rendono le immagini oniriche e intense.
Inoltre, sono rimasto parecchio impressionato dalla scena in cui Bud sprofonda negli abissi con uno scafandro immerso in un emulsione ossigenata di fluoro e carbonio. In questo caso, la finzione cinematografica sconfina nella realtà, visto che si tratta di una conquista scientifica reale.

© M.G.

La ballata del mare

•Maggio 13, 2008 • 7 commenti

Il mare
sorride lontano.
Denti si spuma
labbra di cielo.
– Che cosa vendi, fosca fanciulla,
con i seni al vento ?
– Vendo, signore, l’acqua
dei mari.

– Che cos’hai, giovane negro
mescolato nel sangue ?
– Ho, signore, l’acqua
dei mari.

– Queste lacrime salmastre,
da dove vengono ?
– Vengono, signore, dall’acqua
dei mari.

– Cuore, questa amarezza
profonda, da dove nasce ?
– Dall’amara acqua
dei mari.

Il mare
sorride lontano.
Denti di spuma
labbra di cielo.

Federico García Lorca
foto: © M.G.

Effetti della pressione sugli spazi d’aria di un sub in immersione

•Maggio 13, 2008 • Lascia un commento

I gas, al contrario dei liquidi, sono comprimibili.
Secondo la legge del fisico Boyle, in condizioni di temperatura costante, il loro volume varia in modo inversamente proporzionale alla pressione a cui sono sottoposti.
In pratica, il volume di un gas, sottoposto ad un aumento di pressione, diminuisce. Viceversa, se la pressione diminuisce, il volume aumenta.
Un esempio pratico lo si potrebbe fare immergendo un bicchiere capovolto in un contenitore pieno d’acqua: portandolo verso il fondo, il volume di aria intrappolata al suo interno tenderà a diminuire.
Bisogna puntualizzare che sarà il volume dell’aria a variare, non la quantità di molecole. Avremo una variazione di densità. Infatti, riportando il bicchiere in superficie, l’aria riacquisterà il suo volume iniziale.
Se gonfiamo un palloncino a pelo d’acqua, e lo portiamo a 40 mt di profondità, dove si ha una pressione ambiente di 5 atmosfere, il suo volume si ridurrà ad un quinto di quello iniziale. La densità del gas, al suo interno, sarà cinque volte superiore. Al contrario, gonfiandolo a 40 metri di profondità e riportandolo in superficie, il volume sarà cinque volte maggiore.
Gli erogatori tramite il quale respira un sub, per garantire l’equilibrio della pressione dei nostri polmoni, rispetto al liquido che ci circonda, forniscono aria alla stessa pressione dell’ambiente in cui ci si trova. Ma se la nostra attrezzatura dovesse guastarsi e ci trovassimo costretti ad effettuare una risalita d’emergenza? Sicuramente, il nostro istinto di conservazione ci spingerebbe a trattenere il respiro e partire per la superficie.
E invece, cosa succederebbe se a 40 mt, respirando aria a 5 atm, un sub, in preda ad un attacco di panico, trattenendo il respiro, risalisse velocemente in superficie?
Un palloncino realizzato in gomma, consente, in funzione della sua elasticità, variazioni di volume.
Il tessuto polmonare, per nulla elastico, andrebbe in frantumi.
In entrambi i casi, questo è l’incidente più grave a cui si andrebbe incontro: la sovradistensione polmonare o EGA (embolia gassosa arteriosa).
Una delle regole fondamentali della subacquea con autorespiratore, che si impara fin dal primo corso base, è: mai trattenere il respiro. Si dovrebbe respirare continuamente in modo lento e profondo.
Quindi, nella malaugurata ipotesi di una risalita d’emergenza, si deve stare molto attenti a fare fuoriuscire l’aria che si espande nei nostri polmoni.
Il sistema più semplice è quello di modulare un suono durante la risalita. Questo piccolo espediente, consente alla glottide di rimanere aperta, lasciando che il gas in sovrappiù fuoriesca liberamente.
Anche l’aria che abbiamo immesso nel nostro GAV, per regolare l’assetto, tenderà ad aumentare di volume durante la risalita. Dovremo scaricare, tramite l’apposito comando, il gas in espansione. Non facendolo, acquisteremo velocità, correndo il rischio di “pallonare”verso la superficie. Sarebbe un errore gravissimo, dato che, la velocità di risalita deve essere costante, pari a 10 mt al minuto.
Effettuarla in modo più veloce potrebbe causare seri danni al nostro organismo.
La pressione sott’acqua, agirà anche su altri spazi d’aria, sia del nostro organismo che artificiali, dati dall’attrezzatura: ne sentiremo gli effetti nelle orecchie, a causa dell’introflessione del timpano e la maschera tenderà a schiacciarsi sul viso. In ambedue due i casi dovremo compensare gli effetti dell’incremento pressorio.
L’aumento della densità del gas respiratorio, dato dall’incremento della profondità, renderà più difficoltosa la respirazione e farà aumentare i nostri consumi. A 40 mt respiriamo una quantità di aria 5 volte superiore a quella che normalmente utilizziamo in superficie. Quindi, dovremo calcolare meticolosamente la nostra autonomia, in funzione del personale ritmo respiratorio e della profondità alla quale sarà svolta l’immersione.
Infine, respirando in modo lento e profondo, si renderà più fluido il passaggio dell’aria attraverso gli strumenti che utilizziamo per respirare. Evitando così il rischio dell’affanno, che potrebbe portare il subacqueo alla spasmodica “fame d’aria”.

© M.G.

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Spaccatelle melenzane e pesce spada

•Maggio 12, 2008 • 4 commenti

Altra ricetta messinese che t’acchiappa la gola in un vidiri e svidiri, che manco rinesci a dire ne’ ah ne’ bah!
😉
semplice ma con i giusti accostamenti, un po di dolce e un po’ di salato, tutto molto ben bilanciato secondo me, e quando i pomodori, quelli veri, saranno maturi allora mi direte. Una pasta estiva, fresca ma importante, di quelle paste che realizzi quando vuoi fare una gran bella figura…quella che spero di aver fatto questa sera con il nostro ospite del NODD 🙂
allora chi faciti? pigghiate un pizzuddu di carta e na pinna
;D

Ingredienti per 4 persone
320 g di spaccatelle
200 g di pesce spada tagliato a cubetti e senza pelle
2 spicchi d’aglio piccoli oppure uno bello grosso
1 melenzana media lunga
600 g di pomodori rossi a grappolo
1 cipolla rossa di tropea
la punta di un cucchiaino di zucchero
1 ciuffo di prezzemolo
un mazzetto di menta
100 ml di vino bianco
peperoncino q.b.
sale
olio extra vergine d’oliva
Mondate la melenzana, lavatela ed eliminate parte della buccia. Tagliatela a cubetti e friggetela in abbondante olio caldo, poi ponetela a scolare l’unto in eccesso su un foglio di carta assorbente. Lavate i pomodori e sbollentateli qualche minuto in acqua bollente, eliminate la buccia e i semi, tagliateli a cubetti efate scolare l’acqua di vegetazione. con una mezzaluna tritate l’aglio, il peperoncino e la cipolla, poneteli in un largo tegame a soffriggere con un po’ di olio rimasto della frittura 😀
fate appassire e poi aggiungete i pomodori, cuocete fino a far stringere il sugo. Ponete la salsa in una ciotola, nella stessa padella sporca di sugo, mettete il pesce spada e fatelo saltare con l’unto della padella su fuoco vivace, irrorate con il vino e fate evaporare. Aggiungete la salsa e cuocete ancora 10 minuti; unite le melenzane e fate insaporire. Tritate il prezzemolo e la menta insieme, e aggiungeteli al composto di melenzane. Salate, “zuccherate” e fate riposare il tempo della cottura della pasta. Quando è al dente scolatela nel tegame su fuoco medio, con un’idea di acqua di cottura. Saltate e servite.
Abbiate cura di conservare un po’ di sugo per cospargerlo sulla pasta prima di servirla.
miii che buona
🙂

Le ricette di Claudia … Il suo blog: Scorza d’arancia